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Ecfrasi. Quando la parola chiede aiuto alla pittura:
L’Idiota di Dostoevskij e Anna Karenina di Tolstoj

Il dibattito sul realismo in Russia si svolse soprattutto tra il 1840 e il 1870 e si ripropose negli stessi termini in cui era esploso nel resto d'Europa, partendo dal conflitto innescato dalla coesistenza dell'individualismo romantico e del determinismo sociale che dominava le teorie sociologiche del tempo. Erano gli anni in cui le tecniche di rappresentazione del reale si moltiplicavano e si affinavano: anche in Russia arrivavano i fotografi e il potere documentario, veritiero, della fotografia pose il problema di un altro tipo di immagine, oltre a quella verbale e pittorica: un'immagine apparentemente più accurata e oggettiva. La letteratura era alla ricerca di una forma di rappresentazione della realtà che andasse oltre le convenzioni e gli artifici estetici e aderisse al proprio oggetto: fu così naturale volgersi alla pittura per trovare un modo di farsi immagine che superasse la meccanicità statica della fotografia e del bozzetto, come se la pittura potesse fornire una visione della realtà più immediata della parola, ma al tempo stesso più ricca della mera registrazione documentaria. Dunque, la pittura, come massima espressione dello sguardo, poteva fornire un utile paradigma nel momento in cui il rapporto arte/realtà sembrava sfuggire o, al contrario, era ricercato come il fulcro del pensiero artistico. Per questo i romanzi dei grandi realisti russi del secondo Ottocento hanno tutti un alto tasso ecfrastico.
Arrivato al suo apogeo il romanzo realistico russo usa l’immagine per eccellenza, quella del volto, per andare oltre la pedissequa riproduzione della realtà, interrogarla e per porre le grandi “questioni maledette”.
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